Scontro nel Paese senza soluzione di continuità sulla nuova norma sulla prescrizione entrata in vigore dal primo gennaio 2020. Che cos’è la prescrizione: è una forma di garanzia per gli imputati contro l’eccessiva lunghezza dei processi ed è uno strumento che lo Stato può utilizzare quando non è più interessato a perseguire alcuni reati (quelli punibili con l’ergastolo, invece, erano già imprescrittibili prima della riforma). La riforma si applicherà solo ai presunti reati compiuti a partire dal primo gennaio del 2020 e solo dopo che si arriverà a una sentenza di primo grado, sia di condanna che di assoluzione. La riforma prevede che restino invariati i termini della prescrizione per i reati consumati e tentati (nel primo caso decorre dal momento in cui è stato consumato il presunto reato, nel secondo dal momento in cui è terminata l’attività dell’imputato), mentre cambiano i termini per i reati continuati, cioè quelli in cui una persona commette più reati che rientrano in un medesimo “disegno criminoso”, come si dice: in questo caso il termine di prescrizione decorrerà dal giorno in cui è cessata la continuazione, e non più dal momento in cui è stato commesso ciascuno dei reati. Attualmente si stima infatti che ai tribunali italiani manchino circa 10 mila dipendenti per poter funzionare a pieno regime. Con questa riforma, un imputato che venga assolto in primo grado potrebbe non veder finire la sua vicenda processuale per molti anni – e teoricamente per sempre – anche se nel frattempo non dovesse accadere nulla perché i tribunali hanno deciso di concentrarsi su casi più gravi e urgenti.